SAN CARLINO E I PADRI TRINITARI

L’ORDINE
DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
L’anno 1998 l’Ordine Trinitario ha
festeggiato l’ottavo centenario della sua
istituzione. San Giovanni de Matha (†
1213), oriundo di Provenza e teologo di
Parigi, sentì, durante la celebrazione
della sua prima messa (28 gennaio 1193), la
chiamata divina a fondare un ordine
religioso con il nome della Santissima
Trinità e con la missione specifica di
redimere i captivi
cristiani dagli infedeli —e cioè, i
cristiani soggetti alla schiavitù e al
pericolo di perdere la fede— e di servire
i poveri. Dopo avere stabilito a Cerfroid, a
80 km a nord-est di Parigi, la prima comunità,
si recò a Roma dove Innocenzo III, avendo
accertato che il propositum
o progetto di Giovanni de Matha ubbidiva a
una «ispirazione divina» e proveniva «dalla
radice della carità», approvò il nuovo
Ordine con Regola propria il 17 dicembre
1198. Il motto, assai espressivo, dei
Trinitari sin dalle origini è stato: Gloria
tibi, Trinitas, et captivis libertas;
gloria a te, Trinità, e ai captivi
(schiavi) libertà. Sì, perché i Trinitari
si consacrano in modo speciale alla Trinità
e le rendono gloria impegnandosi proprio a
far calare il mistero della Trinità
—mistero di Amore, di Vita e di Libertà—
nelle profondità dell’indigenza e della
sofferenza dell’uomo. Con Cristo e come
Cristo, contribuiscono alla liberazione
degli uomini con l’unica forza pienamente
liberante, quella dell’Amore eterno e
invincibile di Dio Padre, che si dona in Gesù
per opera dello Spirito Santo.
Fino
a trent’anni fa, anche San Felice de
Valois († 1212) fu ritenuto fondatore
dell’Ordine, per cui di solito i due santi
sono stati abbinati nella iconografia
trinitaria. Per esempio, a Roma, nella
chiesa della Trinità a Via Condotti
(facciata e interno) e a San Carlino
(facciata, con le statue di San Giovanni de
Matha e di San Felice de Valois, scolpite in
travertino nel 1682 da Sillano Sillani, a
fianco di quella di San Carlo Borromeo,
opera di Antonio Raggi, collocata sette anni
prima; interno, le tre figure ancora insieme
nel dipinto ad olio dell’altare maggiore,
di Pierre Mignard). Oggi l’Ordine onora
come fondatore soltanto Giovanni de Matha e
considera Felice de Valois il suo primo
collaboratore.
Sul
frontespizio dell’ospedale romano di San
Tommaso in Formis al Celio, il fondatore
ordinò di collocare un mosaico circolare,
ancora oggi esistente, elaborato dai famosi
marmorari Jacopo Cosmati e suo figlio Cosma
(1210 ca.). Al di là della sua preziosità
artistico-storica, per cui è conservato
come monumento vincolato, per i Trinitari
questo documento musivo è estremamente
importante, perché è stato voluto da
Giovanni de Matha in quanto riflesso del
carisma e dalla missione dell’Ordine. Esso
presenta un Cristo maestoso —“volto”
della Trinità secondo l’iconologia
medievale— seduto tra due schiavi, che
tiene per mano: uno di essi, nero,
simboleggia l’uomo musulmano in cattività;
l’altro, bianco, per la croce
rosso-azzurra che ha nella mano, risulta
essere cristiano. Intorno al circolo si
legge; Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum. Infatti, è la
rappresentazione di ciò che Giovanni de
Matha vide, grazie a una singolare
rivelazione, nel momento culminante della
sua prima messa. A partire dal ‘500, i
biografi hanno sostituito la figura di
Cristo con quella di un angelo. Tale visione
(dell’angelo con gli schiavi), è stata
immortalata da grandi pittori (ad esempio,
nel museo del Louvre si può ammirare il
quadro di Carreño di Miranda: Fundación
de la Orden de la SS. Trinidad) e
scultori (sulle facciate delle chiese
trinitarie antiche si collocava tale gruppo
scultoreo). Una di queste sculture si può
vedere nella parte superiore della facciata
della chiesa della Trinità in via Condotti
(ex-convento dei trinitari calzati) a Roma.
A San Carlino, invece, e questa volta sul
portone d’ingresso al convento, è stato
messo un bellissimo mosaico circolare,
ispirato a quello cosmatesco di San Tommaso
in Formis.
I
TRINITARI, FRANCESCO BORROMINI, IL SAN
CARLINO
Il complesso architettonico di San Carlino
è nato per i Trinitari Scalzi di Spagna. La
Riforma dell’Ordine Trinitario, richiesta
dalla Chiesa a seguito del concilio di
Trento, era stata portata a compimento da
San Giovanni Battista della Concezione nel
1599, anno in cui, il 20 agosto, Clemente
VIII approvò l’istituzione della
Congregazione dei Trinitari Scalzi con lo
scopo di ritornare allo spirito e
all’osservanza della Regola primitiva di
San Giovanni de Matha. Quindi, i Trinitari
hanno celebrato recentemente non solo
l’ottavo centenario della nascita, ma
altresì il quarto centenario della loro
Riforma. Da ricordare che il ramo dei
Calzati non esiste più, essendosi estinto
un secolo fa con la chiusura dell’ultima
casa (in Roma, via Condotti). Si capisce
perché nella chiesa di San Carlino, oltre
ai suddetti santi fondatori, si venera il
santo Riformatore Giovanni Battista della
Concezione (1561-1613).
Dietro
suggerimento del Riformatore, già nel 1609
furono inviati a Roma quattro frati spagnoli
(fra Gabriel de la Asunción, fra Junípero
de San Francisco, fra Francisco de la Asunción,
sacerdoti, e fra Juan de Santa Catalina,
fratello laico) con il compito di aprirvi
una casa procura. Fissarono l’attenzione
sul crocicchio delle quattro fontane tra la strada Pîa e la strada Felice
al Monte Cavallo (Quirinale), a due passi
del palazzo pontificio, dove il 4 settembre
1611 acquistarono una casa. Vi costruirono
alcune celle e una piccola chiesa, che fu
consacrata il 3 giugno 1612 dal cardinale
Ottavio Bandini, protettore dell’Ordine,
alla Santissima Trinità e a San Carlo
Borromeo (primo tempio al mondo dedicato a
questo santo). Per l’altare maggiore
Orazio Borgiani dipinse la stupenda tela San
Carlo in adorazione della Trinità,
configurata appositamente per essere vista
dal basso (oggi è collocata in sagrestia).
Nel
1634, la piccola e povera comunità ha la
fortuna d’incontrare, senza alcuna
raccomandazione, il giovane, inquieto e
incompreso architetto Francesco Castelli
Borromini. Le due parti si accordano presto
grazie anche alla generosità
dell’artista, che non pretende compensi
personali per la costruzione di una nuova
fabbrica. I Trinitari danno al Borromini
fiducia, credibilità, spazio, pur
abbastanza ridotto (quello di tre piccole
case contigue), per eseguire con libertà il
suo progetto. Come fautore principale e
garante della costruzione borrominiana
durante il primo decennio, quello decisivo,
va ricordato qui fra Juan de la Anunciación,
superiore della casa dal 1629 fino alla sua
morte nel novembre 1644. Il Borromini
considera San Carlino la sua opera
prima e, quale gesto di gratitudine nei
confronti di quei frati spagnoli, diventa
loro amico e benefattore.
Subito
il genio dell’artista e l’umiltà dei
frati, lo spirito di povertà di questi e il
dinamismo creativo di quello si
compenetrano, sì da poter affrontare
coraggiosamente, senza l’appoggio di
potenti, senza generosi protettori e lasciti
(tranne un contributo di 2.363 scudi del
Marchese di Castel Rodrigo, ambasciatore
spagnolo, per la fabbrica del dormitorio e
1.000 scudi che, in diverse rate, diede il
cardinale Francesco Barberini a fra Giovanni
dell’Annunciazione, suo confessore) una
costruzione che, nonostante la liberalità
del Borromini e l’utilizzo di materiali
poveri, si profilava molto onerosa per la
comunità. Abbattute le tre case esistenti,
a richiesta dell’artista stesso, questi può
finalmente sfoggiare il suo genio creativo.
E i lavori vanno avanti superando momenti di
angosciosa ristrettezza, in cui mancano
persino i pochi soldi da pagare ai muratori
(in una certa occasione, fra Giovanni
dell’Annunciazione è costretto a chiedere
in prestito 30 scudi). Commenta fra Juan de
San Buenaventura nella sua famosissima
cronaca dei lavori: «Dio voleva che fra
Giovanni dell’Annunciazione fabbricasse
con stento et mortificatione acciò questo
fosse prova del amor che portava alla
Santissima Trinità, a San Carlo et alla
religione per chi si affaticava».
I
Trinitari seguono passo dopo passo con
entusiasmo tutte le fasi della costruzione,
dispensando all’architetto, tutto dedito
al cantiere, lodi e appressamenti
incoraggianti. Convemnto, chiostro e interno
della chiesa sono completati in dolo sette
anni. In particolare, la chiesa, iniziata il
23 febbraio 1638, è terminata l’8 maggio
1641. Ma si deve aspettare altri cinque anni
per saldare i debiti, pur modesti, contratti
con quasi tutte le maestranze. Il 26 maggio
di detto anno, festa della Santissima Trinità,
viene collocato il Santissimo Sacramento
nella chiesa, la cui consacrazione avviene
il 14 ottobre 1646 da parte del cardinale
Ulderico di Carpegna, amico e protettore del
Borromini. Dedicata, come la cappella
precedente, alla Santissima Trinità ed a
San Carlo Borromeo, il noto pittore francese
Pierre Mignard, detto il Romano,
che aveva già eseguito quattro anni prima
l’affresco ovale con l’Annunciazione nella
controfacciata, raffigura al olio sul muro
sovrastante l’altare maggiore la Trinità
e San Carlo Borromeo con i santi Giovanni de
Matha e Felice de Valois (1645).
La
chiesa, la facciata del convento e il
chiostro, per volontà espressa del
committente, furono caratterizzati da
molteplici riferimenti iconografici
all’Ordine della Santissima Trinità.
Accenniamo soltanto ad alcuni. Si vedevano
delle raffigurazioni esplicite della Trinità
nella facciata della chiesa (affresco ovale
del livello alto, oggi inesistente, dipinto
da Pietro Giargutti nel 1677, con
l’Incoronazione della Vergine da parte
della Trinità), sull’altare maggiore e
nella sommità interna del lanternino (lo
Spirito Santo e il triangolo su fondo
dorato), ed implicite nei triangoli
equiilateri, alcuni con il cerchio inscritto
(unità e trinità in Dio), nei triplici
cerchi e in altri gruppi ternari; nella
croce greca bicolore rosso-blu su sfondo
bianco (tre colori simboleggianti le tre
Persone divine), collocata per esempio nella
volta della cripta, in vari punti
dell’interno della chiesa (tabernacolo,
cornice della pala dell’altare
principale…) e del chiostro; nello stemma
dell’Ordine Trinitario, messo nei
prospetti esterni, nel campanile, nella
controfacciata sormontando l’affresco
dell’Annunciazione (oggi, purtroppo,
distrutto), nel paliotto e sulla cornice
esterna dell’altare maggiore; nei quattro
medaglioni in stucco, sistemati nei
pennacchi della cupola, che mostrano scene
della fondazione dell’Ordine ad opera di
San Giovanni de Matha; ancora nelle due
teste di cervo con sopra la croce (scolpite
nel 1677 dallo scultore Simone Giorgi) del
primo ordine della facciata della chiesa.
Mancano, invece, a differenza di altre
chiese romane, stemmi (ad eccezione di
quello della famiglia Barberini nella volta
della cappellina dove riposano i resti della
Beata Elisabetta Canori Mora), lapidi,
iscrizioni di cardinali e di famiglie
nobili; «altre armi non si vedono che la
santa croce della nostra Congregazione»,
scrive in proposito il citato cronista.
C’è
già l’essenziale per la vita dei
religiosi e la fabbrica, per scarsità di
mezzi, si ferma per alcuni anni, finché
Francesco Borromini, dopo una stagione
artistica di straordinaria fecondità
creativa (Oratorio di San Filippo Neri,
ricostruzione di S. Giovanni in Laterano,
Sant’Ivo alla Sapienza, Sant’Agnese in
Agone, palazzo di Propaganda Fide, il
campanile di Sant’Andrea delle Fratte…),
ritorna a San Carlino. Negli anni 1656-1659
realizza il primitivo campanile, ma,
ritenendolo inadatto e sproporzionato, prima
di morire chiederà di rimpiazzarlo. Bel
biennio 1662-1663 si occupa della facciata
del convento sulla strada
Pia (oggi, via del Quirinale), dove, da
luglio 1663 ad aprile 1664 mastro Fabio
Cristofani, a richiesta del superiore P.
Giovanni della Concezione, esegue il
medaglione musivo, a cui abbiamo già
accennato. Questo mosaico, coeovo alla
fabbrica borrominiana, dopo anni di
occultamento sotto una nera coltre di smog,
grazie ad un accurato restauro, è stato
riscoperto in tutto il suo splendore
cromatico. Nel 1664 l’artista ticinese
inizia la costruzione della facciata della
chiesa, che lascia incompiuta: ne realizza
il primo ordine fino al cornicione che reca
la data della sua tragica morte (1667); sarà
completata negli anni 1675-1677, sul suo
disegno, dal nipote Bernardo Castelli
Borromini.
Quale
il frutto di tanta fatica e di tanta fede?
Il capolavoro che tutti oggi ammiriamo. Fra
Juan de San Buenaventura, dopo avere
sottolineato per ben due volte che il
Borromini «fece un convento perfetto con
tutte le sue officine», aggiunge: «Due
cose concorrono nella fabbrica di questo
convento meravigliose, che una pare ecceda
all’altra, et l’altra alla prima. Una è
aver cavato in così stretto et irregolare
sito così grande numero di stanzie et
officine, et ultimamente quanto è di
bisogno per un convento capace di abitare 20
religiosi. In esso si contengono: giardino,
refettorio, anrefettorio, cucina, luogo
comune con continua acqua, una stantia di
entrar al giardino con una fontanina nel
mezzo, mezzanini per servitio del convento,
dormitorio con 14 camere, sopra esso una
libreria di palmi 80 et 20, archivio et
antelibreria; due loggie scoperte per ogni
tempo, cioè una per la invernata dove si
gode del sole senza pregiudicarsi della
tramontana; tre scale, le due lumache di
palmi 12 il pozzo et altra di branchi di
palmi 7; enfermeria, postenfermeria;
claustro basso et alto con le sue stantie;
guardaroba; porteria, cantine, grotta,
cisterna; chiesa principale, altra
sotterranea per seppellir i defonti, coro,
sacristia, stantia de lavamani; et in chiesa
due cappelle; con li corritori necessari per
servitio di tutta la casa. Et in modo tal
admirabile questo, che per molti che hanno
visto lo interiore della casa pare che sia
impossibile rispetto del sito che mostra lo
esterno. La seconda è il modo, dispositione
et accomodatione di dette stantie in sito
cosí irregolare, come lo mostra il disegno
nel quale il detto signore Francesco si
affaticò molto et ebbe bisogno di valersi
di tutto il suo sapere. Et questo con
disegno cosí straordinario, che mai si
trova aver copiata né mendicata cosa alcuna
da architetto nessuno, ma sì bene fondata
sopra lo antico et conforme quello che li
valentissimi architetti lasciaron scritto.
Ma, dove detto signor Francesco mostrò
essere nipote di quel valentissimo
architetto Carlo Maderno…, fu nella
fabbrica de la chiesa di questo convento,
opera così degna che, come fu la prima che
fece in vita sua detto signor Francesco, così
è la prima nel disegno et arte, così raro,
al parere di tutti, che pare non si trova
altro simile, nello artificioso et
capriccioso, raro et straordinario in tutto
il mondo».
Informa
lo stesso cronista sulla povertà delle
stanze dei frati, le cui dimensioni
(lunghezza e larghezza) non eccedevano i
15-16 palmi. «Nella qual camera altro
ornato non si trova che un letto di palmi 9
lungo et palmi 3½ di largo; con due
coperte, una che serve di materazzo et altra
per coprire il religioso; un tabulino con
alcuni libri, uno scabello piccolo et una
lucerna». Dispiace che non si avverasse il
reciproco desiderio della comunità
trinitaria e del Borromini di dare riposo al
suo corpo in una cappellina ricavata bella
cripta di San Carlino.
I PADRI
TRINITARI, ANIMA DI SAN CARLINO
Il complesso di San Carlino, ritenuto
giustamente un gioiello architettonico del
barocco, è ancora più bello ed
affascinante per la sua “anima”, e cioè,
per la vita dei frati che vi dimorano e che,
sin dall’inizio, ne garantiscono la
conservazione e la finalità sociale. Le
mura e l’ambiente di San Carlino riportano
a quelle che sono le caratteristiche
essenziali dello stile di vita trinitario:
la semplicità, lo spirito di povertà, la
comunione dei fratelli, il richiamo
all’interiorità, la preghiera. Senza i
Trinitari, il cui spirito in qualche modo è
stato trasfuso dal Borromini nella
progettazione ed esecuzione della fabbrica,
San Carlino non sarebbe quello che è.
Come
è stato detto, nella chiesa esistono quasi
esclusivamente insegne dell’Ordine
Trinitario. Oltre agli elementi trinitari originari della fabbrica, la comunità ne ha aggiunto
altri durante l’Ottocento. Così i due
dipinti degli altari laterali, vale a dire, San
Giovanni Battista della Concezione, di
Prospero Mallerini (1821), e San Michele dei Santi, di Amalia de Angelis (1847), hanno sostituito
quelli primitivi del Cerrini; nel centro del
nuovo pavimento marmoreo, eseguito nel 1898,
fu messo in bella mostra lo stemma
dell’Ordine (con la croce, la corona e le
catene). I due dipinti di Gian Domenico
Cerrini, detto Il
Cavalier Perugino, che attualmente si
possono ammirare nel corridoio attiguo alla
chiesa, fanno anch’essi riferimento ai
Trinitari. Uno, eseguito nel 1642, raffigura
Santa
Orsola martire con un vessillo bianco
recante la croce rosso-azzurra. L’altro,
del 1643, mostra La
sacra Famiglia con le Sante Agnese e
Caterina d’Alessandria, ambedue
copatrone e protettrici dell’Ordine. Fu il
desiderio di dedicare due altari del tempio
ai suaccennati confratelli recentemente
beatificati che indusse la comunità ad
operare la menzionata sostituzione.
I
frati di San Carlino, dal vistoso abito
tricolore, hanno riempito i muri del
convento di vita e di gesti di umana e
cristiana solidarietà con i bisognosi. Con
il trascorrere dei secoli, poi, la casa ha
acquistato un’importanza crescente per il
ramo riformato dell’Ordine. Ed è
l’unica a non essere stata soppressa lungo
la storia! In questo luogo si sono
intrecciate arte e sapienza, opere di
misericordia e cultura, formazione
intellettuale e impegno di santità. Nel
passato i frati hanno offerto rifugio a
tanti pellegrini non benestanti accorsi a
Roma, per i quali spesso si privavano
perfino del proprio vitto; hanno condiviso
il necessario con i poveri; hanno
risparmiato e raccolto elemosine per avviare
il riscatto di molti schiavi cristiani. Da
San Carlino sono partiti i fondatori
dell’Ordine Trinitario in Polonia e
nell’Impero Austro-Ungarico, cosí come i
restauratori del medesimo in Italia e in
Spagna (secolo XIX). Qualcuno ha chiamato
San Carlino isola di santità. Pensiamo, ad
esempio, che qui, nel secolo appena
trascorso, hanno raggiunto la loro
perfezione il Beato Domingo Iturrate
(1901-1927), il venerabile Félix de la
Virgen (1902-1851), alcuno martiri della
guerra civile spagnola. Pensiamo che due
madri di famiglia, le Beate Anna Maria Taigi
(1769-1837) ed Elisabetta Canori Mora
(1774-1825), raggiunsero la vetta della
santità e realizzarono la loro missione
speciale a favore della Chiesa proprio
guidate da un santo trinitario spagnolo
della comunità (padre Fernando de San Luis)
e partecipando allo spirito e alle attività
del fiorente Terz’Ordine Trinitario di San
Carlino (ne fece parte anche San Vincenzo
Pallotti, morto nel 1850). A San Carlino è
poi stato fondato alla fine del Settecento,
dalla serva di Dio Teresa Cucchiari,
l’istituto delle Suore Trinitarie di Roma.
Attualmente,
in sintonia con la sua tradizione storica,
il convento ha come scopo principale quello
di ospitare giovani studenti e sacerdoti
dell’Ordine Trinitario, che vengono a Roma
per completare presso i suoi affermati
atenei ecclesiastici i loro studi di
preparazione al sacerdozio o di
specializzazione. Si facilita loro una
formazione integrale, intellettuale e
spirituale, in modo che possano attuare
fruttuosamente il carisma dell’Ordine,
particolarmente in paesi del Terzo Mondo.
Qui, a San Carlino, ha sede anche la
postulazione generale dei Trinitari per la
promozione delle cause dei santi.
LA
FAMIGLIA TRINITARIA
La Famiglia Trinitaria è composta dai fratelli,
dalle sorelle e dai laici che portano il
nome della Trinità come appellativo e
riconoscono in Giovanni de Matha il padre.
Tutti partecipano al suo stesso carisma
trinitario redentore e continuano nella
storia la sua missione di gloria della
Trinità e redenzione degli schiavi del
nostro tempo.
La Famiglia Trinitaria,
attualmente presente in 32 paesi,
conta 600 religiosi, 300 monache, 2500 religiose dei vari Istituti, e
cioè, Trinitarie di Valence (Francia),
Siviglia (Beaterio), Roma, Maiorca, Madrid (Urquijo),
Valencia (Spagna) e Oblate
dell'Istituto Secolare; 15.000 Laici
Trinitari delle diverse Associazioni e una moltitudine di circa 250.000
Amici e Collaboratori in tutto mondo.
In questa Famiglia aperta c'è posto anche per te.
Possiamo collaborare per la grande causa del
Vangelo, per il riscatto delle
vittime della schiavitù e in favore dei
perseguitati a causa
della fede (Giovanni Paolo II,
7/6/1998).
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